Questionario sulle attese relative alla terapia

Terapia Hiv: le attese delle persone in Italia

Alcune settimane fa, abbiamo chiesto alle persone che vivono con Hiv che ci seguono di compilare un questionario lanciato da Fondazione ICONA per rilevare le preoccupazioni relative alla terapia antiretrovirale. Ci sembra corretto ora restituire i risultati di quella ricerca, riportando qui di seguito il relativo comunicato stampa.

In estrema sintesi:

  • Hanno partecipato alla indagine quasi 600 persone, in maggioranza maschi, di età media di 49 anni.
  • I tre quarti dei partecipanti assumeva una terapia Hiv in una singola compressa ogni giorno; circa due su tre assumevano tre farmaci.
  • Circa 4 partecipanti su 5 si dicono piuttosto soddisfatti del trattamento che assumono.
  • Le persone più giovani sentono di più il “peso” del trattamento.
  • Anche chi sente il bisogno di contattare più spesso il proprio medico o altro personale sanitario accusa un peso maggiore derivante dall’assumere la terapia Hiv.
  • Questi dati possono essere usati per profilare i pazienti che hanno bisogno di maggiori attenzioni.
  • Più della metà dei partecipanti si dice interessata a una terapia HIV di lunga durata non quotidiana.
  • È interessato soprattutto chi ha problemi di visibilità e che non ha altri problemi di salute.
  • I ricercatori raccomandano ai medici di prestare ascolto alle questioni emotive, sociali e relative alla vita di tutti i giorni delle persone con Hiv nel momento in cui pianificano un cambio di terapia Hiv, soprattutto adesso che si entra nell’era dei farmaci a lunga durata.

“Si tratta di dati di grande interesse per il nostro lavoro di ogni giorno – fa sapere Antonella Cingolani, Università Cattolica S. Cuore, Fondazione Policlinico “A. Gemelli”, Roma – Colpisce che, nonostante la stragrande maggioranza delle terapie anti-HIV oggi disponibili siano racchiuse in un’unica compressa, quasi il 20% dei soggetti riferisca un peso “eccessivo” del trattamento e della malattia. In particolare, l’insoddisfazione al trattamento e lo scarso dialogo con il medico infettivologo minano significativamente il benessere dei pazienti. Questi aspetti, e su questo c’è ovviamente da lavorare anche in termini di comunicazione e attenzione, sono più rilevanti nei più giovani”.

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