
Nella Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia affrontiamo uno stigma molto forte che colpisce ancora le persone LGBT+ sierocoinvolte, spesso messo in atto anche dalle stesse persone LGBT+.
Il pressappochismo del dibattito pubblico legato al tema HIV/AIDS adoperato da politica e media, accompagnato da narrazioni tossiche a riguardo che si trascinano fin dagli anni ’80, ha prodotto anche un altro tipo di stigma, quello introiettato che porta tantə di noi a vergognarsi del proprio status sierologico.
Secondo uno studio presentato da Plus Roma a ICAR 2022, dall’inizio degli anni ’80 la copertura mediatica relativa all’HIV/AIDS ha giocato un ruolo fondamentale sulla formazione dell’opinione pubblica a riguardo e i comportamenti verso la malattia, così come ha giocato un ruolo sul finanziamento pubblico della ricerca scientifica e sulla totale assenza di informazione nelle scuole.
Tra il 1999 e il 2019, le persone che vivono con una diagnosi HIV+ hanno progressivamente perso visibilità mediatica. E quando se ne parla lo si fa o riguardo a celebrità che fanno il loro coming out sierologico, o in contesti di degrado e criminalità, o ancora relativamente a centri di grande impatto dell’infezione come l’Africa.
In estrema sintesi: niente che possa far vedere una situazione normalizzata di vita quotidiana di persone con Hiv che studiano, lavorano, hanno amicizie, storie sentimentali e una vita sessuale attiva. E ciò ovviamente ha una ripercussione non da poco su chi vive questa condizione.
Secondo uno studio condotto per la Commissione ENVI del Parlamento Europeo un intervistato su quattro è d’accordo o fortemente d’accordo quando gli si chiede se si vergogna del suo stato sierologico e sull’avere una scarsa autostima a causa del suo stato di positività all’HIV. Quasi tre intervistati su cinque, poi, concordano sul fatto che è difficile raccontare ad amicə, colleghə di lavoro e familiarə della vita con l’HIV.
Dobbiamo rassegnarci a questo stato di cose?
Ovvio che no.
Gli anni ’80 (e perfino i ’90) sono finiti da un pezzo. La scienza medica ha fatto passi da gigante e con le terapie moderne non solo le persone HIV+ hanno un’aspettativa di vita pressoché uguale, ma U=U è una vera e propria rivoluzione che deve mandare nel cassetto una volta per tutte lo stigma di “untorə” che ci portiamo dietro a causa di narrazioni tossiche, politica pavida e una società civile poco informata.